Terremoto Arquata, le vite normali dei sopravvissuti al terremoto

E’ due giorni che provo a raccontare quello che è successo nelle 70 ore in cui siamo stati insieme ai colleghi farmacisti pugliesi di protezione civile nei luoghi del terremoto, senza però riuscirci.
Scrivevo 2 pagine, rileggevo e cancellavo.
Lo avrò fatto almeno tre volte.

Mi rendevo conto che stavo scrivendo quello che avreste potuto benissimo leggere su un qualsiasi giornale, scritto sicuramente meglio rispetto a come avrei potuto fare io.
Mentre scrivevo, non so per quale motivo, cercavo di mantenere un distacco e narrare in maniera impersonale quello che ho vissuto, cosa abbiamo fatto, quello che abbiamo visto.

La verità è che la cronaca e la narrazione non spetta a me, ma ai giornalisti.
Quindi ho ricominciato una quarta volta, provando stavolta a scrivere “di pancia”.

Siamo arrivati nella tendopoli di Arquata e sembrava un formicaio. La quantità di gente che faceva cose era impressionante. Tutti sapevano cosa fare, dove andare e come muoversi, nonostante fossero passate solo 20 ore dal disastro. La frenesia era tale che anche noi appena arrivati, senza sapere dove sistemarci e cosa fare, siamo stati trascinati da quest’onda e ci siamo ritrovati a lavorare, partendo da noi stessi.

Io stesso sono partito per Arquata con la paura di non sapere come rendermi utile. Sono un farmacista, ma li le farmacie sono quasi tutte andate distrutte, e farmaci ancora non ce ne sono.
Ma il fatto di essere presenti in una situazione del genere, ti spinge a renderti utile, e ad “inventarti” come aiutare chi è li, con gli strumenti che hai, se ne hai.

E così ho cominciato a parlare con Egizia e Peppino, due anziani signori che erano seduti nel cono d’ombra davanti a quella che sarebbe poi diventata diventata la farmacia campale, e più il sole saliva e più l’ombra diminuiva.

Peppino dal 1993 gira con il bombolino dell’ossigeno, e la sua bombola sarebbe esaurita di lì a poche ore, e la cosa giustamente lo metteva parecchio in ansia.
Ci siamo messi in contatto con l’azienda che consegna a domicilio l’ossigeno.
Gli diciamo che la casa di Peppino non c’è più e che domani una bombola deve essere recapita alla Farmacia campale di Borgo Arquata. Ci danno conferma e appena do questa notizia Peppino ed Egizia di rasserenano.

E li capisco cosa posso fare ed il motivo per cui siamo lì.
Immaginate un paesino di montagna di 1600 abitanti, la maggior parte anziana. Ho pensato ai miei nonni, e alla loro vita basata sull’attesa di un qualcosa. L’attesa dell’ inizio del telegiornale, l’attesa della domenica con il pranzo in famiglia, e l’attesa del momento in cui assumeranno i loro farmaci e all’ansia che li prende quando stanno per finire, anche se il blister contiene ancora 5-6 compresse.
Prendere il farmaco per un anziano è un normale momento della vita quotidiana, come lo è per me andare a bere una birra con gli amici.
Quando ti trovi un una tenda, che non sai per quanto tempo sarà casa tua, visto che la tua vera casa è crollata per metà, ti aggrappi agli sprazzi di normalità che ti puoi concedere. E tutti noi eravamo li per quello, aiutare a creare quel senso di normalità.

Mi ha ha colpito l’umiltà con cui hanno accettato questa realtà, consci del fatto che loro erano lì in una tenda blu, mentre un parente o un vicino era finito in un sacco nero. L’ho capito quando per ogni piccola sciocchezza mi dicevano grazie, come se stessi facendo qualcosa di immenso per loro e quel grazie mi metteva quasi in imbarazzo. Un grazie che quando ho lavorato in farmacia a Bari non ti da nessuno, perchè quello è il tuo lavoro e viene dato tutto per scontato.

Ho parlato con la signora Franca. Mi sono avvicinato, le ho chiesto più volte se aveva bisogno di qualcosa, ma mi rispondeva sempre di no, quasi intimidita. Mi alzo dalla panchina per andare via e in quel momento mi richiama:
-“Dottore, mi scusi, so che non è facile trovarlo, ma mi piacerebbe avere un pettine”.
Un pettine.
La faccia che ha fatto quando dopo un po’ di ricerche tra cartoni contenenti la qualunque, le ho portato uno splendido pettine nero in plastica, io non ve la so descrivere, ma me la ricorderò per tutta la vita.

Ho sentito le scosse. Ne ho sentite solo 7 durante la notte, mentre ero sdraiato e provavo a dormire. Perchè se sei in piedi non le avverti.
E quando le senti non sai assolutamente cosa fare. Noi eravamo in un posto sicuro. Ma se sei a casa con i tuoi famigliari di notte, rischi di rimanere paralizzato e non essere lucido per scappare.

Ho visto una signora che ha perso la casa e la sorella, consolare un volontario che ha visto troppo tra le macerie e ha ceduto ed è scoppiato in lacrime. La sorella della signora l’hanno trovata nel letto. “Dottore se stava nel letto, stava dormendo. L’hanno trovata li. Non si è accorta di niente vero? Non ha sofferto vero? Io sono contenta perchè così mentre dormiva se n’è andata. L’abbiamo fatta cremare perchè lei voleva così”.
È scoppiata a piangere  e mi ha abbracciato “Lei è un bravo dottore, e siete tutti bravi perchè ci state aiutando”.

Ho parlato con il signor Dario, che camminava arrancando appoggiandosi su due bastoni, ed era li da solo, senza nessuno, e voleva passare a tutti i costi da casa perchè doveva annaffiare i pomodori, ed erano 2 giorni che non prendevano acqua ma solo polvere. E sono stato li a parlare per qualche minuto di pomodori, io che di pomodori non capisco nulla, e ho avuto la presunzione di pensare che per quei 4 minuti che mi ha raccontato dell’angolo di orto dove li teneva, di quanto era alta la piantina e del momento esatto di cui raccoglierli, lui era li nel suo orto ed era contento. E forse per la prima volta in vita mia, parlando di pomodori in un campo sportivo pieno di tende, sono stato grato della mia professione, anche solo per il fatto di avermi messo nella condizione di essere li a fare qualcosa di normale.

Ho parlato con Paolo, un vigile del fuoco che si è fatto 5 terremoti, uno dei quali nella sua Emilia Romagna. Gli occhi rossi per colpa della polvere che si sollevava spostando i detriti. La sera distrutto e stanco morto, la mattina carico di energie come se avesse dormito 12 ore.
E ho capito che un vigile del fuoco che scava sotto le macerie non lo fermi neanche se gli spari da un metro con un fucile a pompa.

Sono tornato a casa “pieno”. E ho capito che lo stato italiano può permettersi alcune lacune perchè dall’altro lato c’è la macchina del popolo. E non vuole essere un’affermazione autoreferenziale, ma rivolta sopratutto ai vigili del fuoco instancabili e a tutti quegli operatori che in una sola notte hanno montato tende, brandine e bagni chimici, portato la corrente elettrica dove regnava il buio e tanto altro.

Sono grato a queste persone per quello che mi hanno insegnato, per l’umanità che hanno mostrato e spero che tutti quelli che hanno perso una casa, un parente, un amico, possano nonostante le difficoltà, ritornare ad avere una vita normale.

Dr. Giovanni Dipietro
Dr. Giovanni Dipietro

Direttore GOODFOR LAB

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